Africa

15/02/2007

Libia sud est 2007. Diario (2)

Autore: Alberico Barattieri

Campo As Sultan - Campo prima di Gialo

 15 febbraio 2007

Alba. Le tende sono fradicie per l'umidità che è salita nella notte dal mare. Fortunatamente c'è il sole che ci aiuta a non reimpacchettarle bagnate. Senza insabbiamenti usciamo dalle dune e ci riportiamo sull'asfalto per l'ultima tappa di trasferimento su asfalto.
Verso mezzogiorno siamo a Ajdabiyya, una città popolata prevalentemente da lavoratori immigrati. Dobbiamo far vistare i passaporti e questo si porta via un paio di orette in cui Auad e Saad spariscono nei meandri del commissariato locale con i nostri passaporti e noi improvvisiamo uno spuntino a bordo strada. Riceviamo anche la visita (con sguardo inquisitore ma modi cortesi) di un ufficiale di alto grado che presto rientra all'ombra dei suoi uffici. Evidentemente non ci considera pericolosi perché in breve ricompaiono i nostri accompagnatori con i passaporti ed i visti.

Qui la nostra strada prende finalmente una piega verso sud, abbandonando il mare. Dopo una scorta di viveri e acqua ed un rabbocco dei serbatoi imbocchiamo la strada che punta verso Gialo, abbastanza scorrevole anche se un po' stretta quando si incrociano dei camion. Ma non vorremo mica viaggiare senza intoppi, no? Ecco che si materializza una coda di mezzi di cui non si vede la fine. Sono principalmente camion e, ad occhio e croce, stanno trasferendo un intero campo di prospezione petrolifera su ruote. Ci sono le abitazioni prefabbricate, i camion ospedale, materiali e mezzi da lavoro, personale.. una cosa pazzesca! Gentilmente, uno alla volta, molto lentamente ci fanno passare. Lo spazio è strettino e bisogna tenere conto anche dei mezzi che vengono in senso inverso. Non ho idea di quanto sia lunga o di quanti mezzi sia composta la carovana, fatto sta che per più di mezz'ora siamo impegnati in manovre poco eleganti ed una volta raggiunta la testa sembra quasi impossibile che sia finita. Riprendiamo il ritmo, rischiando di fare danni nelle buche che si aprono improvvisamente nell'asfalto: l'obiettivo è arrivare a Gialo entro sera in modo da inoltrarci nel Gran Mare di Sabbia da domani mattina.

Poco prima del tramonto, a pochi chilometri dalla città abbandoniamo l'asfalto sulla sinistra per portarci verso un gruppo di palme che si scorge ad un paio di chilometri. Un bel campo di touffes che ci sballottano un po' ci separa dalla meta ma il luogo in cui ci fermiamo per fare campo è molto piacevole. Un grande gruppo di palme popolate da centinaia di rumorosissimi uccellini ci fa da sfondo mentre il sole radente riscalda un aperitivo di dimensioni pantagrueliche. Un abitudine che nel corso del viaggio si consoliderà.

Campo prima di Gialo - Grande mare di sabbia, Campo SM69

16 febbraio 2007
Km 275

Ci svegliamo con un sottile odore di raffineria che profuma l'aria. In effetti, verso est si scorgono delle torri che bruciano petrolio e danno olfattivamente l'idea di trovarsi nei dintorni di Rho. L'oasi di Gialo è composta da tre distinti centri abitati ed è verso quello più ad ovest che ci dirigiamo per fare i pieni di gasolio. Abbiamo calcolato che per raggiungere Cufra ci occorrerà avere un autonomia di circa 1000 chilometri, ma come sempre stiamo larghi. Per questo viaggio alla solita dotazione di 6 taniche ne ho aggiunte altre 3 a cui si somma un serbatoio supplementare da 80 litri, per un totale di 350. Ormai 'esperienza mi insegna che con il cambio automatico consumo il 10% in più rispetto ad un 80 con cambio manuale e la mia consueta prudenza mi spinge a portarmene dietro più del necessario. D'altra parte, viaggiando da solo con mezza macchina vuota posso permettermi il lusso di eccedere. L'operazione richiede una buona mezz'ora e quando anche l'ultima tanica è assicurata siamo pronti per portarci sul centro abitato più ad est per acquistare cibo fresco.

Sono le nove del mattino ed il mercato è ancora assonnato, privo di quel tappeto sonoro dato dal vociare di venditori e clienti che si aggirano tra i colorati banchi carichi di frutta. Ci mettiamo del nostro per ravvivare un po' l'ambiente, anche se l'atmosfera resta torpida (fredda?). E poi basta! Sono cinque giorni che vediamo asfalto e gente. E' ora di tuffarsi nel nulla!

Seguendo Auad ci portiamo verso la periferia est che attraversiamo velocemente ed in men che non si dica siamo tra dei campi sabbiosi nel molle. Ecco, forse sarebbe il momento di sgonfiare i pneumatici ma Auad ci fa segno di andare avanti ancora un po'. Quando anche l'ultima parvenza di civiltà è scomparsa, se si eccettua una linea di pali telefonici che si perde nel nulla verso est, facciamo sosta, sgonfiamo i pneumatici e ci gustiamo l'immancabile caffè. Intorno a noi è piatto a 360 gradi. Il sole è già salito e comincia a scaldare nonostante il vento. La sabbia chiara riverbera e sbiadisce i confini dell'orizzonte.
Per un bel po' viaggiamo veloci, su un immenso piattone sabbioso. I punti gps si susseguono uno dopo l'altro fino a quando in corrispondenza di un pozzo petrolifero non cominciano a comparire le prime dune. Dapprima sono morbidi rilievi bassi, poi diventano dei cordoni ben marcati intervallati da lunghi spazi piani e scorrevoli. Cominciamo a scavallare dune, senza grandi problemi. Ogni tanto qualche pezzo molle complica un po' la cosa ma in generale è tutto abbastanza semplice. Solo Marco, in un momento di distrazione, si insabbia in una posizione complicata che ci impegna con piastre spinte e cinghie per una buona mezz'ora. A risolvere tutto è il 61 di Auad che con il suo motore a benzina sembra avere una marcia in più: attacca una strop e in due colpi estrae letteralmente il Toy di Marco dalla conca in cui era infossato. Un dazio va pur pagato al Grande Mare di Sabbia!
Riprendiamo la marcia. La media aumenta perché manca ancora parecchio alla meta e siamo in ritardo sui tempi. Fortunatamente il terreno diventa via via più scorrevole e quando i raggi del sole sono ormai arrossati dal tramonto imminente giungiamo al primo dei relitti di questo viaggio.

Sono i resti di un Gobbo Volante (il famoso aerosilurante Savoia Marchetti S79) che partito da bengasi il 21 aprile del 1941 per una missione nel Mediterraneo si era perso per cause sconosciute in pieno deserto. Il relitto è stato ritrovato nel 1960, qualche mese dopo il ritrovamento dei resti di uno dei componenti dell'equipaggio 90 chilometri più a nord. Un semplice cartellino bilingue inglese-arabo attaccato ai resti della struttura prega di non asportare "souvenirs". E' la benemerita opera (recente) di Watani (www.watani.ch).
Dopo le immancabili foto di rito, ci rimettiamo in marcia alla ricerca di un angolino riparato dal vento che troviamo in una conca tra le dune ad un paio di chilometri di distanza. Rabbocchi, aperitivo e sorrisi. Siamo nel nulla e lo spirito ne risente in positivo. Rigoletta continua a preferire la cuccia in macchina anziché una comoda tenda. Mah!

La storia del SM69 


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