Africa

28/12/2002

Mauritania 2002 - Diario (2)

Autore: Alberico Barattieri

Nouakchott - Piton di Tamaggout

Sabato 28 dicembre 2002
Km. 216. Asfalto - Tempo: sole, vento.

Al mattino, mentre quasi tutti si allontanano per le compere, resto al camping a sistemare al meglio il materiale digitale. Assisto alla riparazione di Indiana Jones, ed alla partenza verso il Senegal sua e dei due francesi "mercedesati" (une fois dans la vie). Partono anche Luca, Oumou e Bruno con destinazione St. Louis. Noi attendiamo il, pomeriggio per andare a recuperare i due membri mancanti degli equipaggi per la traversata a est. Sulla strada per l'aeroporto troviamo un ricambista della Toyota che ha prezzi di assoluta concorrenza con quelli praticati da noi. Purtroppo il portapacchi che avevo individuato resterà un sogno...

Aeroporto di Nouakchott. Abbastanza moderno. Bambini e storpi mendicano nella sala principale. Eleganti mauri in abiti tradizionali ed altri vestiti all'occidentale. Qualche elegante coppia mista, ma vestita solo all'occidentale. Arrivano i nostri. Rita e Mauro. Rispettivamente moglie di Roberto e navigatore di Pippo. Scambiamo poche parole e, velocemente, ci infiliamo sulla strada che porta ad Atar.

Il paesaggio è piatto, monotono ed il traffico mano a mano che ci allontaniamo dalla capitale diventa sempre più rarefatto. Tira vento, come al solito. Ogni tanto le dune dell'Ed Dkhaina diventano visibili alla nostra destra.
Poi sulla sinistra si staglia la prima altura dalla partenza, 200 km prima, da Nouakchott. Si tratta del piton di Tamaggout. Lo aggiriamo da est e facciamo campo.

Piton di Tamaggout - Atar - Chinguetti - Auberge Enogei

Domenica 29 dicembre 2002
Km. 398. Asfalto, pista - Tempo: sole, vento

Ore 7. Sveglia! Riprendiamo il nastro d'asfalto, attraversiamo Akjioujt, triste e desolata, ed infine ci addentriamo tra le alture in direzione di Atar. All'entrata in città facciamo il pieno di tutte le taniche. Non troveremo rifornimenti per parecchi giorni. Compriamo il pane, una cassa di acqua, vediamo un saudita con falcone sul braccio seguito da una folla di persone, scopriamo che sono attesi in giornata tre charter dalla Francia, Roberto contratta la vendita dei due ammortizzatori che ha a bordo, io acquisto da un vecchio signore un elegante volume per le scuole superiori mauritane dal titolo "Geologie en Mauritanie" e quindi imbocchiamo la pista per Chinguetti. Scorrevole, con lavori di ampliamento in corso, la pista si addentra verso le alture del Dhar Chinguetti e, dopo una curva a destra vi si arrampica (sull'asfalto) fino alla Passe di Amogjar. Giunti sulla cima e passato il posto di blocco ci troviamo su una pista scorrevole e larga che ci porta fino a Chinguetti.

L'ingresso in città è sabbioso. Attraversiamo lo oued omonimo che la taglia in due e ci fermiamo sulla spianata dall'altro lato. Mentre chi non ci è mai stato coglie l'occasione per andare a visitare la città e le sue famose biblioteche, altri vanno al camping locale a raccogliere informazioni recenti su sicurezza e percorribilità delle zone verso cui siamo diretti.Io faccio parte dei visitatori di biblioteche. Ci addentriamo tra le mura in rovina. Le uniche cose che sembrano in ordine sono le abitazioni che racchiudono le biblioteche. Tutte private.

Ne visitiamo una (......) ma i libri che ci vengono mostrati non vanno oltre il 1800. In compenso notiamo l'ordine in cui vengono raccolti e la catalogazione di cui sono oggetto. Secondo il padrone di casa è tutto fatto con fondi della famiglia perché quelli che dovrebbero arrivare dall'Unesco, nessuno li ha (ancora?) visti.

Paghiamo il nostro biglietto e usciamo, un po' delusi, nell'aria torrida. Intendiamoci: vale comunque la pena di visitarne una. Il fatto è che dopo la lettura di tanti libri su Chinguetti, forse le aspettative sono troppo alte rispetto alla realtà. Torniamo alle macchine dove troviamo ad attenderci un certo numero di bambini e venditrici di pipette, collanine e punte di freccia.

Intanto Athos e Roberto tornano dal loro tour con notizie non proprio rassicuranti. Nella zona dove vogliamo andare, circa una settimana prima, sono state rubate le Toyota che alcuni sauditi avevano noleggiato per andare a praticare la caccia con il falco. Secondo i locali si tratta di maliani che sconfinano in territorio mauritano.

Sempre attorniati dai locali sgonfiamo le gomme, il programma prevede la risalita dello oued Chinguetti, completamente insabbiato, in direzione di Ouadane. Lo oued, nonostante l'insabbiamento completo, per i primi km è abitato. Case e piccoli spazi verdi cercano di opporsi in una lotta disperata all'avanzare della sabbia. Ci insabbiamo. Un locale ci indica il modo di superare le dune che riempiono il corso dello oued. Ci portiamo sulla sinistra e cominciamo un bellissimo percorso in fuori pista sulle dune. Roberto guida il gruppo con maestria sulla sabbia molle ma, ad un certo punto, si insabbia pure lui. Con due macchine in serie lo trainiamo fuori. Onore al merito: è l'unica volta che ha avuto bisogno di aiuto per disinsabbiarsi in tutto il viaggio. Continuiamo su dune e sabbioni fino ad un villaggio, all'uscita del quale nel corso di un oued, Giorgio si insabbia. Piastre, spinta, richiesta di indicazioni ai locali e riprendiamo la marcia. La pista ora è sassosa e non consente grandi velocità. Di arrivare con la luce a Ouadane non se ne parla. Il panorama intorno a noi non dice molto e non è certo un posto memorabile per fare il campo. Poi, nel nulla, a bordo pista si staglia un cartello: Auberge Enogei, 2 km a sinistra.

Sembra incredibile. Chi diavolo ha avuto l'idea di un albergo qui? Decidiamo di andare a vedere.
L'Auberge Enogei è quasi commovente. Due recinti in arbusti e pietra come riparo dal vento e dalla sabbia.  All'interno lo spazio per i fuoristrada e una serie di tende per gli ospiti. Due gabinetti in muratura fuori dai recinti.
Il vecchio e distinto mauro che conduce l'albergo parla solo hassanya. Per fortuna Graziella che mastica l’arabo ci fa da interprete. Nel tempo che facciamo i soliti lavori di manutenzione (di tutte le auto) e lavaggio (solo qualcuno di noi), il padrone ed i suoi familiari ci confezionano un cuscus buono ed abbondante che consumiamo sotto la tenda più grande insieme ad un risotto "made in europe".
Athos sfodera il PC con le cartine satellitari e ci mostra il percorso del giorno seguente mano a mano che inserisce i waypoint tratti dal libro "Mauritanie au GPS", croce e delizia del nostro viaggio. All'ora di andare a nanna, solo io e Mauro decidiamo di approfittare della grande tenda

Auberge Enogei - Ouadane - Guelb El Richat - El Beyyed

Lunedì 30 dicembre 2002 
Km. 40+.. Pista - Tempo: sole, vento debole

Con la luce dell'alba ci apprestiamo a partire non prima di aver fatto qualche acquisto al mercatino improvvisato dalle donne della famiglia ed aver reso visita al museo personale del gestore, a fianco dell'albergo.
Contiene un vero e proprio campionario di materiale preistorico ed etnico molto ben conservato ed esposto.

La carovana riprende il cammino su terreno nuovamente sabbioso ma non particolarmente impegnativo ed in breve dall'alto delle dune da cui giungiamo vediamo, di fronte a noi, una falesia scura con una parte più accidentata al centro: le rovine di Ouadane.  Andiamo fino alla base della città dove facciamo sosta.
Di Ouadane restano le rovine. Solo il minareto della moschea è in piedi. Non è difficile tornare indietro nel tempo con la fantasia per vederla animata e piena di vita come doveva essere qualche secolo fa. La sua dimensione e lo scenario in cui è posta sono estremamente suggestive e, vista l'esposizione, probabilmente il momento migliore per arrivarvi è il tramonto. Con Raffaello restiamo sul posto e approfittando della mancanza di vento scarichiamo le immagini delle camere digitali sul PC. Athos, nel frattempo, va al nuovo villaggio a farsi saldare uno dei ganci di traino non perfettamente fissato e ad informarsi sulla situazione piste. Le notizie confermano quanto sentito a Chinguetti.
Una volta ripartiti riusciamo ad infognarci tra sabbia ed orti dei locali. Dopo piastre, traini, spinte ed alcune esclamazioni non proprio di giubilo, troviamo l'imbocco della pista che in pochi ripidi tornanti pietrosi ci porta sulla falesia sovrastante Ouadane. Ecco l'aeroporto di Ouadane, uno spiazzo rettilineo inquadrato da pietre bianche su cui dev'essere poco divertente atterrare. Poi pista pietrosa.

Ci troviamo sul bordo del Guelb El Richat, una formazione naturale circolare di circa 35 km di diametro. La sua origine non è chiara e, a causa della scarsa altezza delle sue sponde, non se ne ha la percezione visiva che ci si potrebbe aspettare vedendolo su una cartina o ripresa da satellite.
Le pietre non ci abbandonano per tutto il percorso fino all'arrivo alla depressione di El Beyyed. Il sole comincia ad abbassarsi quando vi arriviamo. Ed io ed Athos ci arriviamo con una piccola preoccupazione: da qualche km sentiamo un rumore all'altezza dell'avantreno.
La pista molto ripida e sassosa sprofonda verso la grande depressione punteggiata di acacie. Lo scenario è grandioso.Tornante dopo tornante scendiamo sul fondo. Guidati dal fido GPS ci dirigiamo verso il pozzo di El Beyyed. Lungo il percorso ci fermiamo a fianco di una piccola costruzione in banco. Compaiono immediatamente un gruppo di donne e di bambini che silenziosamente si siedono ordinatamente a terra, aprono i loro fagotti e dispongono i loro piccoli oggetti in vendita. Facciamo qualche scambio e andiamo a vedere il pozzo. Finanziato dal governo, è in cemento, in perfetto stato e, soprattutto, l'unica fonte d'acqua dolce per tutta la valle.
Torniamo sui nostri passi e cerchiamo un angolino tra le acacie che ci accolga per la notte.

Nell'attesa del tramonto con Athos andiamo ad esplorare la falesia insabbiata verso nord. La vista è splendida e si riescono a percepire le dimensioni dell'intera depressione.
Una volta fatto il campo ed in attesa del pranzo e mentre il mercatino ambulante si riforma attorno al nostro fuoco, i più tecnici del gruppo decidono di scoprire cosa fa rumore sul nostro 80. Diagnosi: cuscinetto della ruota anteriore destra che ha preso gioco (eppure a me sembrava che il rumore arrivasse da sinistra).

Detto, fatto. Viene messo il crick e si procede con lo smontaggio per accedere ai dadi che servono per registrare i cuscinetti. Ma arrivati alla ghiera che sigilla gli stessi non c'è verso di toglierla. Svitati i dadi che la fissano ci si trova di fronte a rondelle che non vogliono togliersi. Viene provato di tutto compreso lo scaldare il mozzo con il camping gas per dilatarle. Risultato: zero. Alla fine Giorgio decide che è meglio chiamare con il satellitare il suo meccanico Nando, a Como, per avere lumi. La risposta fa rotolare tutti dal ridere (a parte Athos, proprietario della macchina): abbiamo fatto tutto ciò che non andava fatto e, insistendo, abbiamo bloccato quelle maledette rondelle che hanno un loro segreto nascosto. Sono coniche e quindi basterebbe farle andare in vibrazione con un sano colpo di martello sul coperchietto per vederle schizzare via. Questo se non le si forza. Infatti, anche con il metodo suggerito da Nando non c'è verso di smuoverle. Rimandiamo l'operazione e rimontiamo la ruota.
Smaltiamo la delusione con una provvidenziale abbondante correzione di grappa nel caffè. Il fuoco è ancora acceso, il cielo terso e tappezzato di stelle ed io non me la sento di perdermelo rinchiudendomi nella macchina. Decido di dormire accanto al fuoco.

El Beyyed - El Ghallaouiya - Sbil

Martedì 31 dicembre 2002 
Pista - Tempo: sole, vento

All'alba sono in piedi. Piano piano il campo si risveglia e, puntuali, arrivano i bambini e le donne di El Beyyed con il loro mercatino. Insieme a loro giunge anche Yeslem che ci conduce alla scoperta della valle.  Ci porta prima in un sito preistorico con alcuni graffiti (c'è anche una giraffa), poi ad una sorgente di acqua salmastra. Lungo il suo corso alcuni scheletri di dromedario e, a poche decine di metri, l'unica palma di El Beyyed. E' una femmina ed essendo senza maschi nelle vicinanze non produce datteri.

Ripartiamo seguendo il corso del oued che parte dalla sorgente e, ad un certo punto Yeslem ci fa svoltare sulla destra in una zona piatta. Scendiamo dalle macchine e ci rendiamo conto di essere in un giacimento di amigdale. Incomplete, rotte , solo abbozzate. Il terreno ne è pieno per un diametro di un centinaio di metri.
Poi, ospiti della sua tenda per il the di rito, ci fa da interprete con un vecchio pastore che conosce la zona nella quale dobbiamo recarci. Le sue indicazioni si riveleranno preziose e corrette. Ultima tappa prima di abbandonare El Beyyed, il museo archeologico di Yeslem, ricco ed ordinato.

E' ora di partire. E dobbiamo uscire dalla valle. L'unica via verso est è una passe costituita da un grande sabbione riportato dal vento appoggiato al lato nord est della falesia. Sgonfiaggio delle gomme e via, chi prima chi dopo giungiamo tutti sulla sommità. Ma i problemi non sono finiti. Ci impantaniamo tra le dunette alla ricerca dello sbocco sulla valle verso est. Girovagando finiamo in una zona dove, dalla sabbia, emerge una "pavimentazione" a blocchi quadrati perfettamente allineati. Fenomeno naturale (basalto?) che da l'illusione di essere sulle rovine di qualche antica civiltà. Dopo un po' di tribolazioni Roberto individua la direzione ed il passaggio corretto.

Ritroviamo le tracce della pista e ci infiliamo nella lunga valle che porta ad El Ghallaouia, falesia nera a destra, dune dorate a sinistra e noi che corriamo nel oued (anche in 5a). Incontriamo un minimo di vegetazione e qualche tenda di nomadi con capre. Evidentemente da qualche parte c'è acqua. Infine la valle sia allarga e sotto il rilievo di fronte a noi compare il forte di El Ghallaouia. La guarnigione si dimostra gentile, ci rassicura sulla situazione sicurezza (e ci mancherebbe che dicessero che non controllano la situazione) ma non fidandoci, decidiamo di indicare una meta ed un percorso sensibilmente diversi da quelli che percorreremo: non si sa mai.

Nonostante le proteste, Roberto ci costringe ad aspettare l'ora esatta per stappare lo spumante.

Sbil - Bou Jertala - Erg Ouarane

 1 gennaio 2003
Fuori pista - Tempo: sole, vento 

Buon anno. Alba fresca e soleggiata. Risaliamo sull'altopiano e dopo pochi km abbandoniamo la pista che piega verso destra e giriamo ad est. Si corre su basse dune ad alta velocità. Per ora ci sono delle tracce. Poi abbandoniamo la sabbia e saliamo su una lieve falesia su cui scorre la pista ben visibile. Troviamo un campo di locali abbandonato da poco. Ma andiamo troppo a nord. Abbandoniamo la pista puntando verso Bou Jertala, rilievo roccioso alla cui base oltre a sabbioni grigi molli ed insidiosi troviamo degli strani affioramenti di roccia verde chiaro (presenza di rame?).

Dopo la sosta spuntino riprendiamo verso est. Cominciamo con un primo assaggio delle "touffes". I dolci cordoni di dune che tagliamo in diagonale ne sono disseminati. Si viaggia facendo degli impegnativi slalom, ognuno traccia il suo percorso.
Dopo un po' ne abbiamo abbastanza e decidiamo, anche per misura di sicurezza, di puntare a sud est, in modo da tagliare l'erg Ouarane e portarci più a sud del pozzo di El Mrayer.
Arriviamo nell'erg che si rivela essere molto dolce e con cordoni molto distanziati tra loro. Uno dei momenti più belli del viaggio per panorami e piacere di guida. Al piede di uno dei cordoni ci fermiamo e facciamo il campo. Tramonto sulla cresta.

Erg Ouarane - El Mreyye (balise Isabella)

 2 gennaio 2003 
Fuori pista - Tempo: sole, vento  

Il panorama non cambia per un pezzo. Ogni tanto un cordone di dune da attraversare ci rallenta un po' ma la marcia è spedita. Poi le dune diventano fisse e punteggiate di "touffes" sempre più fitte. La guida è più impegnativa e la sabbia continua ad essere molle, fortunatamente dal lato sud che per noi è solitamente discesa. I rilievi si fanno via via meno marcati e sempre più sgomberi dalla vegetazione fino a quando entriamo nella zona di El Mreyye (lo specchio) che è costituito da un terreno semi-piatto e costituito da piccole dune morbide, costellato di affioramenti di paleosuoli. Scorgiamo diversi reperti, anche viaggiando a velocità sostenuta. Un posto che merita di essere studiato. 

Alla sera sostiamo ad un'ottantina di km a nord del pozzo di Aratane. Tira vento e montiamo il telo a riparo del campo. Io, intanto mi dedico alla posa della balise che ingombra il vano posteriore del nostro Toy dalla partenza (con grande gioia di Athos).

El Mreyye (balise Isabella) - Akeilet edn Dhib

 3 gennaio 2003
Fuori pista - Tempo: sole, vento  

All'alba scopertura della balise. Con poche ma sentite parole spiego ai miei compagni di viaggio il perché della cosa. Dopo la cerimonia, con un po' di personale magone, ripartiamo. 

Siamo ora, per un centinaio di km, nel territorio del Tagant. Per circa 20 km o scenario non cambia: lievi e dolci rilievi da percorrere a buona velocità, facendo attenzione alla sporadica presenza di pareti verticali nel lato nascosto. Quindi ricominciano le "touffes" ed il percorso diventa disagevole.
Giunti in vista dei rilievi che annunciano la prossima falesia dietro la quale è situato il pozzo di Aratane, decidiamo di tagliare diretti anziché seguire la base dei rilievi sulla nostra sinistra. E sbagliamo. Ci infiliamo in una zona di "touffes" e di catini sabbiosi. Un vero calvario. La sabbia è molle e ci si trova in difficoltà ogni qualvolta si devono salire pendii ripidi senza abbastanza rincorsa. La conformazione del terreno ci costringe ad avanzare a zigzag. Ci insabbiamo a più riprese ed avanziamo pochissimo. A sera, sfiniti, siamo ancora lì.
E lì decidiamo, giocoforza, di fare il campo.

Akeilet edn Dhib - Aratane - Enji

 4 gennaio 2003
Pista - Tempo: sole, vento  

Ancora qualche km di "merdaio" e presto siamo costretti a rigonfiare le gomme. La sabbia lascia gradatamente il passo a grandi piattoni di roccia o di terra scura. Poi qualche passaggio su lastre di pietra e, all'apparire delle acacie, arriviamo al pozzo di Aratane. Le bocche sono una dozzina di cui circa la metà in efficienza. Eccetto il solito zozzone (io) tutti fanno una abbondante doccia. Maniaci!.
Dopo le abluzioni riprendiamo la marcia. La pista non è così ben marcata come ci si aspetterebbe.In breve giungiamo a Es Sba, un gruppo di grandi rocce scavate dal vento che si ergono dalla sabbia che ricopre la falesia. Facciamo uno stop per fotografare il luogo. Poco più avanti incontriamo Elephant Rock. Proseguiamo lungo una vallata che corre a sud della falesia.

Ogni tanto delle piccole dune isolate ci costringono ad aggiramenti. Smarriamo più volte la pista tracciata ma la conformazione del terreno ci consente di viaggiare nella giusta direzione. Incontriamo qualche nomade, soprattutto donne e bambini. Tutti propongono scambi con punte di freccia e altri piccoli reperti. Mauro, convinto che non sia possibile una così grande quantità di reperti, armatosi di pietre adatte allo scopo, si mette a fabbricare punte di freccia. La cosa gli riesce abbastanza bene.

Ci avviciniamo all'Enji, promontorio della falesia che costeggiamo da Aratane. Per accedervi bisogna utilizzare una passe ripida ed insabbiata. I bambini del piccolo accampamento di nomadi ci seguono correndo su per la salita. Arrivati alla rampa finale sgonfiamo le gomme. Athos mi cede la guida. Infilo una terza ridotta, schiaccio il chiodo e, zigzagando, arrivo alla sommità. Incredibile quanto riescano a galleggiare con un po' di velocità le 2,5 tonnellate del Toy.
In cima all'Enji ci ricompattiamo alla ricerca della discesa "ancienne piste Paris Dakar". Il punto che secondo il GPS dovrebbe essere quello giusto, in realtà non pare così facile. La discesa è ripida, insabbiata e con molte pietre affioranti. Roberto è convinto che si possa passare. Ma ormai comincio a conoscerlo: lui è come un camoscio e passa dappertutto, noi un po' meno. Fortunatamente, complici un paio di nomadi che ci indicano la direzione della "nouveau piste Paris Dakar" ed il fatto che sta tramontando, Roberto desiste dai suoi propositi.

Mentre ci stiamo per muovere giungono due cammelli con tre ragazzi locali a bordo che per diversi km ci scortano al trotto. Dopo qualche km, in prossimità di una piccola barcana, facciamo il campo. I tre ragazzi ci raggiungono e, come ormai d'abitudine, cercano di scambiare un po' di raschietti e punte di freccia.

Visto che ormai siamo un po' il loro "cinema", si siedono a terra e assistono alla preparazione di spaghetti aglio, olio e peperoncino. Contrariamente alle mele, che non hanno voluto (forse non ne hanno mai viste e temono la novità), gli spaghetti sono di loro gradimento. Ho notato che qualsiasi cosa si dia loro, alimentare e non, il riconoscimento dell'oggetto parte da una prima analisi olfattiva, uno scambio di opinioni e poi prosegue con l'eventuale manipolazione.

Enji - Oualata

5 gennaio 2003
Pista - Tempo: sole, vento  

Al mattino mi svegliano le voci (sempre un po' troppo alte di decibel) di ragazzi e donne locali che sono venuti a vedere "i bianchi". Insistenti più del solito ci costringono a partire velocemente. Dopo qualche km troviamo la discesa "nouveau piste Paris Dakar" che si rivela ripida ma semplice da percorrere (in discesa). In pochi minuti ci troviamo di nuovo sotto la falesia. Ci fermiamo presso alcune rocce dove troviamo dei ripari ed alcune incisioni rupestri.

Proseguiamo e ci re-immettiamo sulla pista che, passando sotto l'Enji, lo aggira e prosegue verso Oualata. Il terreno intorno a noi è costituito da rocce nere. Sulla sinistra la falesia, sulla destra, in lontananza, dune. La pista è abbastanza scorrevole anche se richiede attenzione per le pietre che ogni tanto sporgono dal fondo....Improvvisamente il verde. Un prato vero, con cammelli capre e bovini (!) al pascolo. Siamo abbagliati. Non vediamo tanto verde dal nord del Marocco. Ci fermiamo a fotografare questo spettacolo inatteso. Proseguiamo nel fondo valle. Il terreno è sabbioso e si viaggia a velocità sostenuta tra gli arbusti.Mano a mano che ci avviciniamo a Oualata i piccoli accampamenti lungo la pista diventano più grandi. Incontriamo il primo mezzo meccanico da giorni: un camion di locali che ha forato a cui diamo colla e pezze per riparare la camera d'aria. Ancora una manciata di km ed attraversiamo un boschetto di acacie che fa da anticamera a Oualata. Scorgiamo il portale di ingresso (ma la pista passa a fianco) e seguendo le tracce entriamo in città. Stoppiamo davanti al posto di guardia dei militari dove veniamo circondati dai bambini. Finite le formalità cerchiamo un albergo. Giusto di fronte c'è l'hotel di proprietà del caid locale. E' chiuso ma lo aprono per noi. Grande trattativa per il prezzo, verifica del funzionamento delle docce ed infine ingresso delle auto nel cortile (isolamento necessario per non venire travolti dai tantissimi bambini).

Il tramonto si avvicina. E' l'ora giusta per andare a visitare la città. Scortati dai bambini, al seguito di Mohamed la guida, ci addentriamo tra le mura in banco, interrompendo il cammino ogni qualvolta troviamo delle porte decorate. Il disegno di base è simile per tutte ma cambiano di molto la decorazione ed i colori utilizzati.
Anche i muri in banco hanno superfici tutte differenti, forse dovute oltre che all'impasto anche all'applicazione dello strato di finitura usando le mani come cazzuola.
L'effetto che ne deriva è di superfici che vibrano ognuna in modo diverso, nonostante l'omogeneità dei materiali e delle tecniche di costruzione usate. Visitiamo anche il piccolo museo etnico nel quale, oltre ad oggetti di uso comune ben esposti, è interessante l'utilizzo della sabbia (finissima e non volatile, portata appositamente in loco da uno oued lontano) come pavimentazione: la sensazione è di camminare sulla moquette.

La popolazione è in maggioranza nera (Mali, Senegal) anche se, come ovunque in Mauritania, chi comanda sono i bianchi, cioè i Mauri. Le donne non sono velate, ti sorridono, e le più giovani non temono la cinepresa. Come già detto i bambini sono moltitudini e, a differenza di altri luoghi, pur pressandoti da vicino non sono invadenti e la parola "cadò" non risuona assillante. Con il sole ormai calato rientriamo all'albergo. Dopo le docce grande pranzo. Alle 7 la luce elettrica svanisce (il generatore è del caid e la notte gli serve per la tv). Sono l'unico a decidere di dormire in una delle due grandi camere a nostra disposizione. Polvere. 


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