MSF missions

30/07/1999

Georgia, estate 1999 #4 - In montagna

Autore: Roberto La Tour

L'estate, quella vera, calda, soffocante, è arrivata anche qui, e diminuisce la voglia di scrivere e di lavorare, mentre aumenta quella di bere birra, soprattutto che quella alla spina è molto buona. Comunque il lavoro procede tranquillamente, così come la vita sociale.

Tre settimane fa sono stato invitato a passare il weekend a Idjevan, in Armenia, da Cynthia, levatrice belga del programma di salute riproduttiva. Saremmo stati una bella combriccola e mi rallegravo all?idea di andarci. Temo, l?altro autista, ha offerto di accompagnarmi fino alla frontiera, in questo caso abbastanza vicino a Tbilisi. Laggiù ho trovato ad aspettarmi Cynthia col suo autista, e mi ha portato fino a casa sua, in un paese di mezza montagna immerso nel verde. Lì c?era già Hilde, infermiera psichiatrica norvegese che aveva fatto provvista di birra, e poco dopo sono arrivati prima Ioanna, mia collega dell?inverno scorso, poi Ion, funzionario norvegese dell?HCR, e Armel, suo collega armeno. Abbiamo passato un magnifico weekend a base di mangiate, bevute, splendide passeggiate nei boschi, e sabato sera abbiamo coronato il tutto con una succulenta Moussaka preparata con le magnifiche melanzane locali, che abbiamo degustato sul terrazzo al chiarore della luna. Dopodiché su proposta di Ion, ci siamo lanciati in dei ?drinking games?, cioè nella nostra buona, vecchia indianata. E così a notte inoltrata su questa veranda che domina il paese, un gruppo di seri professionisti della salute e della cooperazione allo sviluppo, ultratrentenni, gridavano come ossessi, ubriachi, ?fuck?, ?blow-job?, eccetera, con l?eco che restituiva queste simpatiche parole.

Il giorno seguente, dopo una tarda, pigra e abbondante colazione sul terrazzo, è giunto il momento degli addii. Io sono stato accompagnato alla frontiera dall?autista di Cynthia, e mollato lì da solo perché nessuno da Tbilisi poteva venirmi a prendere. Passo la dogana armena, i soldati mi lasciano transitare, attraverso il ponte con la mia sacca a rotelle al traino, mi sembra di essere al ?check-point Charlie? tra Berlino est e ovest, arrivo la posto di frontiera Georgiano dove ho molta difficoltà a spiegare che cosa faccio lì da solo senza auto, finalmente mi lasciano passare, m?incammino sotto un sole cocente, sono osservato con parecchio stupore dagli autisti di un convoglio militare russo in cammino nella direzione opposta, percorro tre chilometri in quelle condizioni, arrivo al primo paese e mi accascio all?ombra di un albero. Siamo a Sadakhlo, abitato principalmente da azeri, e mentre le donne trasportano bidoni di rame da venti litri pieni d?acqua sulle spalle, gruppi d?uomini accovacciati sotto gli alberi giocano a domino. Alzo il pollice, si ferma un?automobile vecchia e scassa, e un poliziotto mi da un passaggio. Mentre lui mi mostra la strada in uno stato pietoso e mi fa capire ?Vedi? Ecco cosa ha ottenuto Gorbatchev con la sua Perestroika! Prima, questa strada era perfetta!?, io lentamente mi sciolgo, perché nonostante la temperatura esterna sia tropicale, il riscaldamento della macchina è bloccato su ?massimo?. Finalmente arriviamo alla cittadina di Marneuli, dove trovo facilmente un pulmino che mi riporta a Tbilisi dove il mio nuovo collega, Nicolai, mi aspetta con un pranzo pronto.

Infatti dai primi di luglio è arrivato un dottore bulgaro a dividere la nostra casa e le nostre attività. Ama molto fare da mangiare, almeno quanto me, ma ha alcune strane concezioni culinarie, soprattutto per quanto riguarda l?aglio. Praticamente tutto quello che lui prepara, tranne forse il caffè, lo seppellisce sotto una montagna d?aglio. In Bulgaria, come in Grecia e in altri paesi orientali, va di moda lo yogurt salato, con erbe, cetrioli, o altro. Idea che può apparire strana a noi, abituati a consumarlo puro oppure dolce, ma in fondo perché no? Però una testa intera d?aglio, ho detto una testa e non uno spicchio, e non sto esagerando, per mezzo litro di yogurt mi sembra veramente tanto! Le nostre Bagne Caöde, anche le più fetenti, sono ormai bazzecole per me; semplici mentine. Se prestate attenzione, quando tira il vento dall?est, sentirete forse profumo d?aglio; sono io che respiro.

La settimana scorsa mi sono preso finalmente qualche giorno di vacanza, e sono andato a passare una settimana in montagna al fresco. Siamo andati a Kazbegi, un paesone a 1700 metri a nord di Tbilisi, vicino alla frontiera con la Russia. Andiamo con uno dei nostri autisti, Avto, la mia collega messicana Silvia, suo marito norvegese Gaute (quella gente ha proprio degli strani nomi: come si fa a chiamarsi ?vai fuori dalle balle??) e loro figlio Daniel. Ci fermiamo lungo un torrente a mangiare degli stupendi spiedi di carne di maiale alla brace, e nel pomeriggio arriviamo a destinazione. Cerchiamo un albergo, ci indicano quello che una volta era dell?Intourist, l?agenzia turistica sovietica, ed entriamo in una fiera e monumentale costruzione completamente allo sfascio dove una vecchietta ci dice che per due dollari e mezzo a notte possiamo avere una camera con luce ma senza acqua, e una con acqua (un tubo che esce dal muro, solo fredda) ma senza luce. Cerchiamo allora la Guest-House del WWF che nessuno conosce; dei poliziotti finalmente ci accompagnano, la troviamo, è chiusa, svegliamo il guardiano e lo convinciamo ad offrirci ospitalità. La casa è carina, in mezzo al verde; le camere sono accoglienti, pulite, con acqua calda e fredda. Sono trentacinque dollari a notte a testa con tre pasti, ma ne vale la pena. Due simpatiche adolescenti ci preparano i letti, e ci annunciano che siccome non ci aspettavano, quella sera c?è ?solo caffè?, e così noi partiamo alla disperata ricerca di un ristorante aperto. Una passante cui ci rivolgiamo affamati ci dice di seguirla, e fa aprire per noi un ristorante chiuso. Mangiamo focaccine riscaldate, insalata di pomodori e beviamo birra. Torniamo in albergo, e ci rendiamo conto che la frase ?solo caffè? era da interpretare alla Georgiana: infatti ci stavano tutti aspettando con pane, salame, formaggio, biscotti, vodka e? caffè. Mangiamo quindi una seconda volta; non possiamo offenderli.

Kazbegi è una grossa borgata in fondovalle, con le case sparpagliate. Non c?è un centro come da noi intorno alla chiesa; quest?ultima è in disparte, come quasi sempre in Georgia; anzi spesso sono in cima a colline. Per le strade, girano completamente libere mucche e maiali; la sera se ne tornano in stalla per conto loro. E molto curioso vedere al tramonto gruppi di maiali che guaiscono di fronte a cancelli chiusi per farsi aprire. Le mucche, poi, sono le dirette responsabili della produzione del miglior yogurt che mi sia mai capitato di mangiare.

Il giorno seguente facciamo la nostra prima gita: raggiungiamo una chiesa medioevale che domina dall?alto il paese; lì Gaute e Silvia si fermano a causa del bambino, e noi proseguiamo con l?intento di vedere uno dei grandi ghiacciai che scendono dal monte Kazbegi, 5033 m, lo Gveleti Glacier. Privi d?allenamento come siamo, è una gran faticata, ma abbiamo la soddisfazione di raggiungere non solo la nostra meta, ma anche di vedere gruppi di cavalli apparentemente selvatici, accompagnati da puledri, che scorazzano nella più totale libertà. I giorni seguenti sono stati tutti occupati da magnifiche gite, delle quali restano memorabili quella alla Trusso Gorge e la salita al ghiacciaio Devoraki.

La Trusso Gorge è una valle percorsa da un torrente tumultuoso. Temo, il guardiano dell?albergo, ci accompagna in macchina alla partenza della gita, e ci da appuntamento per le sette e mezza. Traversiamo un vecchio paese di poche case pieno di magnifici maialini rosa, e seguiamo una strada di terra a picco sul torrente. Ad un certo punto traversiamo un ponte, cambiamo lato, la valle si allarga, beviamo acqua fresca di sorgente, e ammiriamo lo spettacolo di formazioni di calcare bianco con salatiti e stalagmiti. La valle diventa dolce, larga, luminosa, e in lontananza si intravedono rovine. Notiamo dall?altra parte del torrente un laghetto dall?acqua stranamente turchese, e ci rendiamo conto che deve trattarsi del famoso lago di acqua minerale di cui ci hanno parlato. Continuiamo a camminare, raggiungiamo un paese con tre case abitate, le altre in rovina, maiali che scorazzano, e i resti di un?antica fortezza che lo sovrastano. C?è un ponte, lo attraversiamo, continuiamo verso il fondovalle, e ci fermiamo sotto un altro castello diroccato. Il paesaggio è bellissimo, spettacolare ma dolce al tempo stesso, e oltre ad alcuni contadini e pastori ci siamo solo noi. Torniamo indietro, e non attraversiamo il ponte in modo da andare a vedere il famoso laghetto. Ben presto ci troviamo a camminare su un terreno che sembra uscito da un altro pianeta: ci sono come delle pozzanghere acquitrinose ma limpidissime, dalle quali escono bolle. Dopo una faticosa camminata tra sassi, erbe e chiazze d?acqua, raggiungiamo il lago. L?acqua è limpida, violentemente azzurra, e il bordo è arancione vivo con una linea nera. In mezzo c?è un forte ribollire, come in un Jacuzzi; purtroppo l?acqua è freddissima. Ho provato ad assaggiarla, e quale non è stata la mia sorpresa a scoprire che è frizzante! L?odore di uova marce invece è meno invitante; indica la presenza di zolfo, responsabile tra l?altro dei depositi arancioni sui bordi. Cominciava ad farsi tardi; e dovevamo avviarci per arrivare in tempo all?appuntamento col nostro autista. L?idea di tornare indietro su quel terreno impervio fino al ponte non ci garbava, e allora decidiamo di proseguire su questa sponda del torrente fino al ponte più a valle. Ci inerpichiamo su e giù per ripidi pendii, sprofondiamo nella melma, scivoliamo sui sassi, finalmente arriviamo in vista dell?ambito ponte? e ci accorgiamo che è assolutamente impossibile passare, c?è una parete rocciosa liscia e totalmente a picco sulle acque vorticose. Ci rimaniamo veramente di merda, e devo utilizzare tesori di persuasione per impedire agli altri di tentare di guadare il torrente. Torniamo indietro, cammina, cammina, cammina, prima di arrivare al ponte più lontano vediamo una Lada Niva dall?altra parte, le facciamo grandi gesta con grida ma quelli nisba. Giungiamo infine al paese, vediamo un camion e un pulmino apparentemente in stato di marcia, chiediamo in giro, ma come risposta otteniamo solo ?benzin: niet? e un offerta di fermarci a dormire. Manca un quarto d?ora all?appuntamento e abbiamo dieci chilometri da fare. Ci mettiamo in marcia incoraggiandoci a vicenda con stupide battute; quando abbiamo compiuto più di metà strada ci imbattiamo in un gruppo di individui completamente ubriachi con dei cavalli. Quelli ci indicano i cavalli, noi ci domandiamo se chissà, forse sono pronti a prestarceli ma no, quelli vogliono brindare con noi e nutrirci. Abbrancano chi per un braccio, chi per la manica del golf, e mentre uno tira fuori la vodka l?altro prepara un panino al formaggio, subito adocchiato da un cavallo affamato che rischia di farci cadere tutti quanti in acqua nel tentativo di azzannarlo. Abbiamo l?impressione di trovarci in un guaio serio: quelli non mollano, vogliono a tutti i costi che noi mangiamo e beviamo con loro, noi abbiamo un bel mostrargli l?orologio, cerchiamo di fargli capire che se tardiamo ancora il tipo dell?albergo rischia di chiamare i soccorsi, ma alla fine solo una fuga precipitosa con bicchiere di vodka in mano ci permette di arrivare all?appuntamento con un?ora e mezza di ritardo; miracolosamente l?autista era ancora lì che ci aspettava.

Sabato, accompagnati da Kathleen, una collega belga venuta su per due giorni, abbiamo voluto raggiungere il ghiacciaio Devoraki. La cartina turistica che ci hanno dato all?albergo parlava di ?magnifica salita in foresta con spettacolare vista panoramica su stupendo ghiacciaio, non prima di aver ammirato la vegetazione unica di erbe primigenie alte anche due metri?. L?autista ci molla alla partenza della gita, camminiamo per un?ora su un sentiero in mezzo ai pascoli, per poi inerpicarci in salita in una foresta di betulle. E ovvio che dopo averlo tracciato, più nessuno ha curato quel sentiero, tanto era invaso dalla vegetazione. Usciamo dalla foresta e ci imbattiamo nelle ?erbe primigenie?. Be?, si tratta di una specie di groviglio vegetale densissimo che arriva all?altezza del petto, non c?è più sentiero, per cinque minuti è divertente, poi diventa un incubo, siamo in shorts, passiamo il tempo a grattarci, non vediamo dove mettiamo i piedi: sassi, ruscelli? insomma una gran goduria. Il ghiacciaio è davanti a noi, è bello sul serio, non riusciamo a raggiungerlo perché ovunque sia il sentiero non si passa, a causa di un burrone che sbarra il passaggio. Cerchiamo un posto per fare il pic-nic, vediamo una casa in rovina con un laghetto, che bello che bello, ma anche lì è tutto solo piante alte un metro. Finalmente ci accovacciamo in tre sopra un roccione, mangiamo pane, salame, formaggio e pomodori, poi ripartiamo. Kathleen ci chiede di andare avanti per necessità di bisognino, noi scendiamo camminando su sassi invisibili tirando improperi, poi ci fermiamo ad aspettarla. Aspetta tu che aspetto anch?io, grida, chiama, niente. Kathleen sembra scomparsa. Preoccupati, torniamo a cercarla. C?è chi risale fino al roccione, mentre io, in caso lei sia scesa dall?altra parte, passo lungo il laghetto. Non l?avessi mai fatto: la vegetazione è densissima, spine e ortiche mi martoriano, insetti mi pungono, lunghe erbe mi si avvinghiano intorno alle caviglie, scivolo su sassi e sprofondo in acqua. Comincio seriamente a domandarmi cosa sto facendo lì, potrei essere tranquillamente ad Alassio o perlomeno, essendo in Georgia, su una piacevole spiaggia del mar Nero. Finalmente ritrovo gli altri, di cui emerge solo la testa, e notiamo quello che sembra la traccia di qualcuno che è passato di lì, con piante calpestate. Vi andiamo dietro con difficoltà, sempre col dubbio che non stiamo affatto seguendo Kathleen ma bensì una mucca o forse un orso affamato. Finalmente rientriamo nel bosco, ritroviamo il sentiero e anche quella bestia di Kathleen che era ovviamente convinta che eravamo noi ad esserci persi.  Torniamo a valle e troviamo Temo, questa volta puntualissimi.

Domenica siamo tornati a Tbilisi, fermandoci a fare il bagno in un grande lago artificiale e visitando un?antica chiesa fortificata sulle sue sponde. Lunedì tranquillo in ufficio, e martedì di nuovo in viaggio, questa volta per lavoro, con la mia collega Nana e l?autista Avto. Siamo andati a Kutaisi, nell?ovest del paese, a 230 Km da Tbilisi. E la più antica città della Georgia, e dopo la visita all?istituto delle malattie veneree e al centro trasfusionale abbiamo anche fatto un po? di turismo. Abbiamo dormito in una carinissima pensione famigliare in una casa a balaustre, e abbiamo mangiato (male) in riva al fiume. Avto ha ordinato due bottiglie di spumante e sono stato obbligato a sorbirmi tutta la sfilza dei brindisi (ai bambini, alle donne, a me, alla famiglia, eccetera). Il giorno dopo abbiamo visitato una chiesa diroccata, un?altra bellissima interamente affrescata, una caverna con stalatiti e stalagmiti e abbiamo pure visto le orme di un dinosauro. In quella città ha sempre tirato un forte vento molto caldo al punto che sembrava di essere sotto il casco di un parrucchiere. Al ritorno ci siamo fermati a mangiare (bene) in un meraviglioso ristorante in riva al torrente, e abbiamo pure fatto il bagno. Arrivato a casa alle nove, stanco e accaldato ma fornito di miele acquistato presso gli alveari che ci sono lungo la strada, ho trovato Nicolai ad aspettarmi con un?insalata di aglio, aglio, aglio, formaggio e pomodori.


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