MSF missions

17/02/1999

Armenia 1998 - 5 - Prostitute e matrimonio

Autore: Roberto La Tour

Come avevo accennato nella mia lettera precedente, all'SVDH, l'ospedale delle malattie veneree, sono state portate una decina di prostitute, tenute lì come fossero prigioniere. La nostra collega, assistente sociale di professione, era già andata a trovarle, e un giorno che si trovava lì con Nara A., la sua interprete, ci sono andato anch'io, accompagnato da Anahit, la mia. Tutte radunate in una stanza, con uno scaldino a kerosene (portato da loro) per riscaldarsi, mi hanno bombardato di domande appena sono entrato. Evidentemente hanno creduto che fossi un medico, e io ho cercato di rispondere alla meglio. Una di loro è stata obbligata a portarsi dietro i suoi due figli, di circa sette e dieci anni di età, e voleva sapere se anche loro erano contagiati da Sifilide e Gonorrea. Infatti metà delle donne accusava emicranie e vie respiratorie intasate, insomma influenza, e avevano paura si trattasse di quelle due malattie. Alla faccia dei medici che ci avevano assicurato di avergli dato informazioni chiare.
Sul che Arriva Spiros, il nostro coordinatore, accompagnato da Nara G., l'altra interprete. Credo che le due Nara, se avessero potuto, sarebbero entrate nel muro. Trovarsi in mezzo a delle donnacce, che paura! Eppure lavorano da tempo al progetto. Allora Spiros ha preso Anahit, che lavora con noi solo da dicembre, come al solito timida, modesta e per bene, e ha cominciato a farle tradurre dettagli sull'uso dei preservativi, aspetto dello scolo dovuto alla Gonorrea, peni e vagine. Lei imperturbabile, traduceva; solo i cerchi di un rosso sempre più intenso sulle sue gote indicavano un certo imbarazzo. In sala c'erano anche due uomini, "convocati" come le donne. Non è chiaro se si tratta di amici, clienti, fidanzati o protettori delle prostitute; comunque uno di loro aveva una chitarra e per mezz'ora abbiamo ascoltato canzoni in quella stanza dai muri biancastri con le chiazze di umidità, una lampadina nuda che pende da un filo, una decina di letti disposti alla meglio e tutte le prostitute, molte in vestaglia con una che si truccava e le altre vestite come potevano.

Il week?end scorso abbiamo deciso di non andare a Yerevan e di restare tranquilli a Gyumri. Avevamo vagamente in mente di fare una gita sul monte Aragats, più di 4000 metri qui vicino, ma non è la stagione adatta. Sul che venerdì pomeriggio David, un nostro autista, alla notizia che restavamo a Gyumri ci annuncia che siamo invitati a un matrimonio.
La sera, andiamo in cerca di un regalo. Su consiglio di David, comperiamo un profumo e, alla nostra richiesta di farci un pacco?regalo, veniamo spediti nel negozio di fianco, un fioraio, che ha carte, scatole e nastri vari. Dopo che lo abbiamo fatto impazzire pretendendo una carta per mazzi che non si piegava intorno agli angoli della scatola, otteniamo finalmente un bel pacchetto dorato con un grande fiocco. Vogliamo pagare, ma non c'è verso; quell'uomo rifiuta ostinatamente. Allora pensiamo di ringraziarlo alla maniera Armena: torniamo in profumeria, che è anche un negozio di alimentari, e comperiamo una bottiglietta di vodka. Quindi di nuovo dal fioraio, dove lui subito tira fuori tre bicchieri, li pulisce con un po' di vodka, poi li riempie. Quindi ci tocca brindare e scolarceli. Strana concezione del commercio!
Intanto avevamo notato vicino al negozio l'insegna di un ristorante. Andiamo a vedere, e scopriamo un magnifico posto con volte di pietra, sicuramente risalente a quando la città era ancora chiamata Alexandropol, se non prima. La sera andiamo lì a mangiare, e ci servono un ottimo horovatz preceduto da antipasti vari uno dei quali ricorda i nostri Nervetti. Un orchestra suonava, c'erano altri due tavoli occupati (solo uomini) e purtroppo il riscaldamento era fornito da uno strano sistema che ho già visto in un ambulatorio: sembra un motore a reazione ricuperato da un vecchio Mig, che sputa fuoco e fiamme in un rumore infernale; fortunatamente è stato acceso solo per pochi minuti.

Sabato mattina David è venuto a prenderci con l'auto del progetto piena di parenti e ci ha portato a casa della sposa. In fondo a una specie di scarpata, poco più di una baracca migliorata da muri in pietra. Fuori dalla porta, in mezzo alle automobili, Lada ma anche qualche bel fuoristrada, tre musicisti si davano da fare mentre una ventina di persone ballava scatenata, intorno a un ragazzo che brandiva uno spiedo con infilate cinque mele, quella più in alto con sopra infilate monetine e fiammiferi. Siamo quindi entrati, tutti stipati in una stanza molto piccola dove era imbandita una tavola. Gli uomini si sono seduti, mentre le donne si sono tutte infilate in un'altra camera dove hanno aiutato la sposa a vestirsi cantando. Io intanto ero seduto con tutti questi uomini con cui mi era impossibile comunicare ma che mi riempivano il bicchiere di cognac e vodka e il piatto di insalata di carne, olive, formaggio. Sul che la sposa appare, è raggiunta dallo sposo che prende sottobraccio; si avvicinano al capo del tavolo preceduti da due bambini che tengono dei ceri accesi. Una volta seduti, avviene un primo scambio di anelli, oltre, ovviamente, a qualche brindisi. Poi tutti fuori, dieci minuti di danze con musicisti e spiedo di mele tra le macchine, e partenza per la chiesa, nella piazza centrale di Gyumri.

Prima di noi ci sono altri due matrimoni, e quindi ci mettiamo in coda. Mentre i due preti benedicono i primi due sposi, i secondi aspettano davanti al transetto, e noi in fondo alla chiesa. Poi i secondi si avvicinano all'altare, e noi arriviamo al transetto. Finalmente tocca a noi: la cerimonia è molto breve, ma bella: ai due sposi vengono poste corone in testa, come nel rituale ortodosso; vengono messi uno davanti all'altra con le fronti che si toccano e la madrina dello sposo resta appiccicata a loro. Grassa com'era, mi impediva di fare foto. Una zia mi dice di andare sui gradini oltre l'altare per fotografare meglio, ma il secondo prete mi espelle e mi rispedisce col resto degli invitati. Secondo scambio di anelli, poche brevi parole del prete ed è tutto finito.

Torniamo alle automobili, e andiamo a casa dello sposo. Di nuovo, in una stradina stretta tra le auto parcheggiate di traverso, musica, danze, spiedo di mele, ma anche piatti e piadine branditi. I piatti verranno frantumati poco dopo sulla soglia, e dal numero di pezzi si deduce il numero di figli che nascerà. Le piadine invece vengono posate sulla spalla della sposa per augurare abbondanza. Entriamo, sempre tanta gente in poco spazio, e c'è un tavolo imbandito di fianco al letto nuziale. Troppo poco spazio per sedersi, nessuno tocca i cetrioli e i pomodori, ma si brinda di nuovo, e tocca a me fare un brindisi alla felicità futura della coppia. Poi fuori, tutti in macchina, e via al ristorante.

Fuori città, parcheggio spazioso, ottimo per ballare con spiedo di mele. Dentro, uno stanzone spoglio e bianco con tre lunghissimi tavoli imbanditi e un palco per l'orchestra. Ci sediamo, cominciamo a mangiare formaggio, insalata russa, caviale locale, e rapidamente arriva l'horovatz, carne grigliata. Fino a quel momento mi ero divertito, adesso iniziava l'incubo. L'idea è di stare a tavola tutto il pomeriggio e tutta la sera, con frequenti intermezzi di ballo. Il padrino dello sposo dirige i brindisi, e ce n'è un numero interminabile. Io poi sono stato obbligato a fuggire dal mio vicino di tavola che non solo mi riempiva il bicchiere e voleva che lo bevessi, ma si arrabbiava perché non lo vuotavo completamente. Ho capito che dovevo stare estremamente attento a non agganciare lo sguardo di chiunque avesse un bicchiere in mano, per non essere obbligato a trangugiare bicchieri interi di vodka o di cognac.
A un certo punto la sposa ha cominciato a aprire i regali che le venivano dati uno a uno. Molti gioielli, e dopo un po' la sua mano era piena di anelli, tutti con il cartellino del prezzo o dei carati che penzolava.  Fino a quel momento gli sposi erano rimasti seduti, ma ora si sono uniti alle danze. Allora gli invitati hanno cominciato a dare soldi alla sposa, e lei li brandiva sempre ballando prima di depositarli in un cestino tenuto da una zia. Io uscivo spesso, per scappare da quell'atmosfera fumosa e dall'ossesso dei brindisi. In cucina siamo riusciti a farci fare un caffè e ho dovuto fotografare i cuochi. Siamo rientrati in sala, e evviva evviva, arrivano delle enormi polpette. Che fame che fame, avevamo appena finito di mangiare Horovatz, formaggi, insalata russa, salumi, eccetera. Verso le sette Ioanna, che pur era molto più entusiasta di me di questo matrimonio, è crollata e ha chiesto a David se potevamo andare via. E stato un esercizio di delicata diplomazia fargli capire che ci eravamo divertiti moltissimo ma che noi, poveri e fragili occidentali, non siamo abituati a tutto quel cibo, alcool, fumo, rumore. Lui rifiuta di lasciarci andare in cerca di un taxi e insiste per accompagnarci a casa. Ma con la promessa che il giorno dopo, ci torna a prendere perché la festa continua... La sera, lei ha vomitato tutto, mentre io mi sono svegliato al mattino stando male.

Domenica alle undici David è arrivato puntualissimo, siamo andati a prendere un po' di parenti a casa dei genitori della sposa, poi tutti allo stesso ristorante di ieri. Nel parcheggio era stato preparato un falò di paglia, e ci siamo tutti messi a ballare in cerchio intorno tenendoci per mano. Poi tutti quanti abbiamo dovuto saltare sopra il fuoco, anche i bambini tenuti dai genitori; grandi risate. Si tratta di una tradizione legata più alla festa di San Valentino che al matrimonio; ora siccome domenica era il 14 febbraio le due occasioni si sono incontrate.
Dopodichè, ricomincia l'incubo. Tutti di nuovo a tavola, con la prospettiva di rimanerci tutto il pomeriggio. Per fortuna quell'individuo che voleva a tutti i costi farmi bere non c'era. Si comincia con minestra di agnello, di cui mi sono sforzato di mangiare un boccone. Per miracolo, sono riuscito ad evitare di bere. Poi alè: il padrino dello sposo ha ricominciato a dirigere brindisi a catena, con l'orchestra che suonava musica per una decina di secondi tra l'uno e l'altro, come per annunciarli. Avete presente le nostre città alcuni secoli fa, quando un rullo di tamburi precedeva la proclamazione di un editto? Tutti questi brindisi dovevano consumare calorie, perché ecco che finito da poco l'agnello, i tavoli sempre coperti da pane, formaggio, salumi e insalata russa, viene servito il pollo coi piselli. Intanto si balla, e a un certo punto inizia una specie di gioco: vengono chiamati in pista alcuni commensali, e gli viene offerto un regalo tirato fuori da un sacco, dopo che hanno accettato di fare qualcosa di stupido tipo bere una bottiglia di coca?cola senza tirare il fiato. Gli uni ricevono un mandarino, altri una banconota da 150 lire. A un certo punto siamo chiamati, ci chiedono di ballare (da soli), poi ci offrono una piccola pistola di plastica con una luce rossa. Finalmente vediamo l'utilizzo dello spiedo di mele: i fiammiferi in cima vengono incendiati, e per alcuni minuti tra i ballerini ce n'è uno che brandisce questa specie di torcia pittoresca. Finalmente capiamo che non succede più nulla di speciale, andiamo da David e con tesori di diplomazia gli spieghiamo che non solo vogliamo andare a casa, ma che vorremmo farlo a piedi. E così abbiamo finito la giornata con una stupenda passeggiata di un'oretta, siamo arrivati all'ovile dove ci siamo accasciati mezzi morti e quando John, un americano del Peace Corps ci ha telefonato per invitarci a mangiare il Borsch, abbiamo declinato senza scrupoli.


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